Capricci bambini, come gestirli da 0 a 16 anni. Il segreto è l’empatia

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Gestire i capricci e le urla di un bambino è una delle cose più difficili dell’essere genitori. Spesso si perde la pazienza oppure ci si fa prendere dal panico e dall’ansia che il nostro bambino abbia qualcosa che non va.

La pediatra e psicologa Claudia M. Gold in questi anni ha lavorato con moltissime famiglie e ha sviluppato un metodo innovativo per aiutare i genitori a gestire le situazioni problematiche. Gold nel suo libro “I pensieri segreti dei bambini” (Sperling & Kupfer) non detta regole, piuttosto suggerisce un atteggiamento che mamma e papà devono adottare per stare vicino a un bambino.

Uno dei nostri bisogni fondamentali è essere compresi, soprattutto da piccoli. Inoltre i bambini, fin da neonati, sono spugne: assorbono parole e atteggiamenti dei genitori. Se questi, durante una situazione di crisi del bambino, si fanno sopraffare da rabbia, delusione e nervosismo, trasmetteranno al bambino insicurezza e provocheranno inevitabilmente comportamenti ancora più “problematici”.
La Gold spiega con numerosi esempi come il genitore debba sforzarsi di comprendere il piccolo. Il suo motto è “tenere il bambino nella mente”, cioè immedesimarsi e provare empatia da quando è neonato fino all’adolescenza. Il bambino, sentendosi compreso e capito, impara così a riconoscere le proprie emozioni e piano piano, crescendo, riesce a gestirle.

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 Davanti a un capriccio, quindi, il genitore non deve mai perdere la calma, deve tenere presente che pianti e capricci fanno parte della normale fase evolutiva del bambino; poi però deve contenere il piccolo: se la rabbia è legittima, il comportamento capriccioso è invece sbagliato.

 La Gold avverte però che per seguire il suo metodo è necessario che i genitori siano tranquilli e sereni, altrimenti faranno molta fatica a calarsi nella mente del bambino. Soprattutto una mamma insicura e non aiutata potrebbe avere difficoltà a gestire un neonato. È quindi importante trovare persone di aiuto o di supporto che contengano e tranquillizzino il genitore.
Una madre che si sente compresa e tranquillizzata riesce ad avere la lucidità necessaria per concentrare la sua attenzione sul figlio.

Ecco alcuni esempi su come “tenere il bambino nella mente” in diverse situazioni.​

 1) Per un neonato piangere è un modo per reagire agli stimoli del nuovo ambiente. Siate empatici e contenete il bebè
Spesso i primi mesi di vita di un bambino si rivelano un disastro. I piccoli piangono in continuazione e le mamme si sentono impotenti, nascono litigi col partner, aumenta il senso di colpa… Spesso il pianto compare alla sera e generalmente lo si attribuisce alle coliche o a problemi fisici, ma spesso non è il motivo reale. Il più delle volte, secondo la pediatra americana, il neonato piange a causa di un eccesso di stimoli visivi, tattili, uditivi che lo circondano e a cui lui non sa dare significato.

 Ha quindi bisogno che i genitori lo aiutino a gestire e a contenere questi sentimenti. La madre deve comprendere, tenere nella mente e contenere il disagio del piccolo. Prima di tutto si deve tranquillizzare: il pianto esasperato non è dovuto a un problema fisico, il bambino non ha nulla che non va, non ce l’ha con lei. E’ solo molto stanco e ha bisogno di essere rassicurato. Quindi con calma lo può prendere in braccio, parlargli, mostrare affetto e non insofferenza o nervosismo. La voce serena della mamma e il suo abbraccio serviranno a contenere le emozioni forti e incontrollate del neonato.

2) Tra i 5 e i 9 mesi è il momento di insegnargli a dormire da soli

“Un sano ritmo sonno/veglia di genitori e bambini è fondamentale per lo sviluppo emotivo” dice la Gold. Al contrario la privazione del sonno può avere un impatto negativo sui sentimenti di empatia di un genitore verso il figlio. Il periodo in cui insegnare a dormire da soli è tra i 5 e i 9 mesi. Se si abitua ad addormentarsi alla presenza di un adulto, poi sarà più difficile insegnargli a stare da solo.

“Un bambino tenuto nella mente dalla mamma” dice la Gold, “sviluppa un attaccamento sicuro che gli permette più facilmente di gestire la separazione e imparare a dormire autonomamente”. I genitori devono essere tranquilli e capire che il piccolo è pronto a dormire da solo, e che è per il suo bene. Al momento della nanna, il piccolo sentirà che i genitori sono sicuri e risoluti.

 E questo atteggiamento positivo darà serenità al piccolo che si addormenterà facilmente da solo. La Gold consiglia di lasciargli un oggetto transizionale associato al sonno che gli permetterà  di consolarsi e riaddormentarsi da solo se si sveglia di notte. I genitori spesso sono insicuri e temono di lasciare il bimbo da solo perché lo sentono piangere e temono che possa soffrire.

 “Quando i bambini imparano a camminare cadono spesso, talvolta si fanno male. Eppure è una fase inevitabile. Lo stesso discorso vale per imparare ad addormentarsi autonomamente. I bambini non ne sono capaci dalla nascita. Hanno bisogno di esercitarsi e la pratica può causare qualche disagio temporaneo. Considerate sempre che è più dannosa la mancanza di sonno di genitori e figli” conclude l’esperta.

3) Capricci verso l’anno e mezzo
Con i primi passi e le prime parole, il bambino inizia a essere consapevole che il suo sé è diverso da quello dei genitori, e cerca di manifestarlo in ogni occasione. Ma al tempo stesso si sente ancora piccolo e indifeso. E’ una fase delicata e per il piccolo è molto importante sentirsi compreso.

A quest’età i capricci sono il modo con cui un piccolo cerca di esercitare il controllo della propria vita. Ad esempio, un bambino può mettersi a urlare perché non ha la sua tazza preferita. I genitori davanti a una scenata di questo tipo, non devono rispondere arrabbiandosi o urlando a loro volta, spiega la Gold, ma devono comprendere che questo comportamento fa parte del normale sviluppo evolutivo del un bimbo che sta cercando di affermare la sua identità. Quindi devono calarsi nei panni del piccolo, capire la sua rabbia per poi contenerla.
Per esempio gli si può dire che la sua rabbia è comprensibile, anche a noi dispiace che non ci sia la sua tazza, ma che è sbagliato urlare e che per una volta può usare un’altra tazza per bere. Quello che non bisogna fare è correre a prendere la sua tazza preferita. Il compito del genitore è quello di insegnare a disciplinare le emozioni negative, non quello di evitargliele.

 4) In età prescolare: è il momento di insegnargli a parlare e non urlare
In età prescolare un bambino ha sviluppato il linguaggio e quindi è il momento per insegnagli a tradurre le emozioni negative in parole. Quando era neonato il genitore mostrava di comprenderlo attraverso le espressioni del viso e il suono della voce. Ora invece può ricorrere alle parole. Davanti a un capriccio, la mamma con tono calmo ma risoluto può dire: “Capisco che sei arrabbiato perché vuoi una ciambella, ma tra poco è ora di pranzo e quindi non puoi averla.”. Se il bambino va avanti a urlare e a strillare, la  mamma gli sta vicino, lo tiene nella mente, così da non farsi travolgere dal nervosismo, e gli spiega che è normale sentirsi frustrati quando si desidera qualcosa, ma urlare e piangere non servirà a fargliela ottenere. Solo in questo modo il piccolo imparerà a controllarsi e a verbalizzare i suoi impulsi, anziché strillare.

 5) Come fare se non vuole andare all’asilo
Davanti a un bimbo che piange perché non vuole andare alla scuola materna il genitore non deve farsi sopraffare da sensi di colpa e da altri sentimenti negativi. Ma tenere il bimbo nella mente, capire la sua agitazione e nello stesso tempo rendersi conto che è importante per il bene del bambino andare alla materna, che è normale all’inizio piangere, ma che questa separazione non arrecherà nessun danno al piccolo. A questo punto spiegare con serenità che il suo dolore è comprensibile, ma che la separazione dura poche ore e che a scuola troverà molti amici. Mostrarsi tranquilli e affidarsi con fiducia alle maestre. Quando un bambino si sente compreso e contenuto mentalmente sarà sicuro di sé e pronto alla separazione.

6) L’età scolare: è il momento di imparare a capire gli altri
Con l’ingresso alla scuola primaria possono verificarsi problemi di socializzazione. Una mamma che vede il proprio figlio o la propria figlia triste per le continue liti con i compagni o le compagne non deve farsi prendere dal panico e dall’agitazione.
Ma deve tenere presente che i conflitti tra bambine sono normali a quest’età. Poi la mamma deve entrare in empatia e ascoltare il figlio/la figlia, riconoscere il disagio, ma ridimensionarlo. E’ molto importante che la mamma sia tranquilla e  allontani i suoi ricordi personali, magari negativi, dei tempi della scuola. Deve dare il suo appoggio al figlio/alla figlia ma anche spiegarle il punto di vista degli altri.

 In questo modo si insegna ad entrare in empatia con gli altri e a comprendere il loro diverso punto di vista. Capacità molto utili per affrontare le sfide scolastiche e sociali all’interno della scuola.

“Infatti” spiega la Gold, “un bambino che non ha imparato a regolare le proprie emozioni e a relazionarsi con gli altri potrebbe avere problemi di apprendimento o di comportamento. Un bambino che è assalito dall’ansia perde lucidità. L’apprendimento richiede invece capacità di regolare le emozioni. Inoltre un bambino che è travolto dai sentimenti di rabbia farà fatica a stingere amicizie e potrebbe diventare aggressivo”.

7) L’età dell’adolescenza: le crisi sono normali e aiutano a crescere
“Ogni fase dello sviluppo presenta le sue difficoltà, ma contenere le furie e le passioni di un adolescente richiede una forza e una calma che supera largamente quelle necessarie all’inizio del processo evolutivo”. Come in tutte le altre fasi anche in questa, il genitore deve mettersi nella mente del ragazzo. Capire che è una fase molto difficile. A questa età i ragazzi sono divisi: da una parte c’è la voglia di indipendenza, ma dall’altra la tristezza di perdere l’intimità con la madre.  “Paradossalmente” dice l’esperta “più un adolescente è impegnato a respingervi con aggressività, più ha bisogno della vostra presenza”. Queste riflessioni devono aiutare il genitore a entrare in empatia con il figlio e cercare che ad ogni rottura segua una riappacificazione. E’ però importante porre dei limiti se il comportamento e il linguaggio del ragazzo  diventano troppo offensivi. Precisare che certi atteggiamenti non sono accettabili e potrebbero avere delle conseguenze.

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Gestire i capricci e le urla di un bambino è una delle cose più difficili dell’essere genitori. Spesso si perde la pazienza oppure ci si fa prendere dal panico e dall’ansia che il nostro bambino abbia qualcosa che non va.

La pediatra e psicologa Claudia M. Gold in questi anni ha lavorato con moltissime famiglie e ha sviluppato un metodo innovativo per aiutare i genitori a gestire le situazioni problematiche. Gold nel suo libro “I pensieri segreti dei bambini” (Sperling & Kupfer) non detta regole, piuttosto suggerisce un atteggiamento che mamma e papà devono adottare per stare vicino a un bambino.

Uno dei nostri bisogni fondamentali è essere compresi, soprattutto da piccoli. Inoltre i bambini, fin da neonati, sono spugne: assorbono parole e atteggiamenti dei genitori. Se questi, durante una situazione di crisi del bambino, si fanno sopraffare da rabbia, delusione e nervosismo, trasmetteranno al bambino insicurezza e provocheranno inevitabilmente comportamenti ancora più “problematici”.
La Gold spiega con numerosi esempi come il genitore debba sforzarsi di comprendere il piccolo. Il suo motto è “tenere il bambino nella mente”, cioè immedesimarsi e provare empatia da quando è neonato fino all’adolescenza. Il bambino, sentendosi compreso e capito, impara così a riconoscere le proprie emozioni e piano piano, crescendo, riesce a gestirle.

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 Davanti a un capriccio, quindi, il genitore non deve mai perdere la calma, deve tenere presente che pianti e capricci fanno parte della normale fase evolutiva del bambino; poi però deve contenere il piccolo: se la rabbia è legittima, il comportamento capriccioso è invece sbagliato.

 La Gold avverte però che per seguire il suo metodo è necessario che i genitori siano tranquilli e sereni, altrimenti faranno molta fatica a calarsi nella mente del bambino. Soprattutto una mamma insicura e non aiutata potrebbe avere difficoltà a gestire un neonato. È quindi importante trovare persone di aiuto o di supporto che contengano e tranquillizzino il genitore.
Una madre che si sente compresa e tranquillizzata riesce ad avere la lucidità necessaria per concentrare la sua attenzione sul figlio.

Ecco alcuni esempi su come “tenere il bambino nella mente” in diverse situazioni.​

 1) Per un neonato piangere è un modo per reagire agli stimoli del nuovo ambiente. Siate empatici e contenete il bebè
Spesso i primi mesi di vita di un bambino si rivelano un disastro. I piccoli piangono in continuazione e le mamme si sentono impotenti, nascono litigi col partner, aumenta il senso di colpa… Spesso il pianto compare alla sera e generalmente lo si attribuisce alle coliche o a problemi fisici, ma spesso non è il motivo reale. Il più delle volte, secondo la pediatra americana, il neonato piange a causa di un eccesso di stimoli visivi, tattili, uditivi che lo circondano e a cui lui non sa dare significato.

 Ha quindi bisogno che i genitori lo aiutino a gestire e a contenere questi sentimenti. La madre deve comprendere, tenere nella mente e contenere il disagio del piccolo. Prima di tutto si deve tranquillizzare: il pianto esasperato non è dovuto a un problema fisico, il bambino non ha nulla che non va, non ce l’ha con lei. E’ solo molto stanco e ha bisogno di essere rassicurato. Quindi con calma lo può prendere in braccio, parlargli, mostrare affetto e non insofferenza o nervosismo. La voce serena della mamma e il suo abbraccio serviranno a contenere le emozioni forti e incontrollate del neonato.

2) Tra i 5 e i 9 mesi è il momento di insegnargli a dormire da soli

“Un sano ritmo sonno/veglia di genitori e bambini è fondamentale per lo sviluppo emotivo” dice la Gold. Al contrario la privazione del sonno può avere un impatto negativo sui sentimenti di empatia di un genitore verso il figlio. Il periodo in cui insegnare a dormire da soli è tra i 5 e i 9 mesi. Se si abitua ad addormentarsi alla presenza di un adulto, poi sarà più difficile insegnargli a stare da solo.

“Un bambino tenuto nella mente dalla mamma” dice la Gold, “sviluppa un attaccamento sicuro che gli permette più facilmente di gestire la separazione e imparare a dormire autonomamente”. I genitori devono essere tranquilli e capire che il piccolo è pronto a dormire da solo, e che è per il suo bene. Al momento della nanna, il piccolo sentirà che i genitori sono sicuri e risoluti.

 E questo atteggiamento positivo darà serenità al piccolo che si addormenterà facilmente da solo. La Gold consiglia di lasciargli un oggetto transizionale associato al sonno che gli permetterà  di consolarsi e riaddormentarsi da solo se si sveglia di notte. I genitori spesso sono insicuri e temono di lasciare il bimbo da solo perché lo sentono piangere e temono che possa soffrire.

 “Quando i bambini imparano a camminare cadono spesso, talvolta si fanno male. Eppure è una fase inevitabile. Lo stesso discorso vale per imparare ad addormentarsi autonomamente. I bambini non ne sono capaci dalla nascita. Hanno bisogno di esercitarsi e la pratica può causare qualche disagio temporaneo. Considerate sempre che è più dannosa la mancanza di sonno di genitori e figli” conclude l’esperta.

3) Capricci verso l’anno e mezzo
Con i primi passi e le prime parole, il bambino inizia a essere consapevole che il suo sé è diverso da quello dei genitori, e cerca di manifestarlo in ogni occasione. Ma al tempo stesso si sente ancora piccolo e indifeso. E’ una fase delicata e per il piccolo è molto importante sentirsi compreso.

A quest’età i capricci sono il modo con cui un piccolo cerca di esercitare il controllo della propria vita. Ad esempio, un bambino può mettersi a urlare perché non ha la sua tazza preferita. I genitori davanti a una scenata di questo tipo, non devono rispondere arrabbiandosi o urlando a loro volta, spiega la Gold, ma devono comprendere che questo comportamento fa parte del normale sviluppo evolutivo del un bimbo che sta cercando di affermare la sua identità. Quindi devono calarsi nei panni del piccolo, capire la sua rabbia per poi contenerla.
Per esempio gli si può dire che la sua rabbia è comprensibile, anche a noi dispiace che non ci sia la sua tazza, ma che è sbagliato urlare e che per una volta può usare un’altra tazza per bere. Quello che non bisogna fare è correre a prendere la sua tazza preferita. Il compito del genitore è quello di insegnare a disciplinare le emozioni negative, non quello di evitargliele.

 4) In età prescolare: è il momento di insegnargli a parlare e non urlare
In età prescolare un bambino ha sviluppato il linguaggio e quindi è il momento per insegnagli a tradurre le emozioni negative in parole. Quando era neonato il genitore mostrava di comprenderlo attraverso le espressioni del viso e il suono della voce. Ora invece può ricorrere alle parole. Davanti a un capriccio, la mamma con tono calmo ma risoluto può dire: “Capisco che sei arrabbiato perché vuoi una ciambella, ma tra poco è ora di pranzo e quindi non puoi averla.”. Se il bambino va avanti a urlare e a strillare, la  mamma gli sta vicino, lo tiene nella mente, così da non farsi travolgere dal nervosismo, e gli spiega che è normale sentirsi frustrati quando si desidera qualcosa, ma urlare e piangere non servirà a fargliela ottenere. Solo in questo modo il piccolo imparerà a controllarsi e a verbalizzare i suoi impulsi, anziché strillare.

 5) Come fare se non vuole andare all’asilo
Davanti a un bimbo che piange perché non vuole andare alla scuola materna il genitore non deve farsi sopraffare da sensi di colpa e da altri sentimenti negativi. Ma tenere il bimbo nella mente, capire la sua agitazione e nello stesso tempo rendersi conto che è importante per il bene del bambino andare alla materna, che è normale all’inizio piangere, ma che questa separazione non arrecherà nessun danno al piccolo. A questo punto spiegare con serenità che il suo dolore è comprensibile, ma che la separazione dura poche ore e che a scuola troverà molti amici. Mostrarsi tranquilli e affidarsi con fiducia alle maestre. Quando un bambino si sente compreso e contenuto mentalmente sarà sicuro di sé e pronto alla separazione.

6) L’età scolare: è il momento di imparare a capire gli altri
Con l’ingresso alla scuola primaria possono verificarsi problemi di socializzazione. Una mamma che vede il proprio figlio o la propria figlia triste per le continue liti con i compagni o le compagne non deve farsi prendere dal panico e dall’agitazione.
Ma deve tenere presente che i conflitti tra bambine sono normali a quest’età. Poi la mamma deve entrare in empatia e ascoltare il figlio/la figlia, riconoscere il disagio, ma ridimensionarlo. E’ molto importante che la mamma sia tranquilla e  allontani i suoi ricordi personali, magari negativi, dei tempi della scuola. Deve dare il suo appoggio al figlio/alla figlia ma anche spiegarle il punto di vista degli altri.

 In questo modo si insegna ad entrare in empatia con gli altri e a comprendere il loro diverso punto di vista. Capacità molto utili per affrontare le sfide scolastiche e sociali all’interno della scuola.

“Infatti” spiega la Gold, “un bambino che non ha imparato a regolare le proprie emozioni e a relazionarsi con gli altri potrebbe avere problemi di apprendimento o di comportamento. Un bambino che è assalito dall’ansia perde lucidità. L’apprendimento richiede invece capacità di regolare le emozioni. Inoltre un bambino che è travolto dai sentimenti di rabbia farà fatica a stingere amicizie e potrebbe diventare aggressivo”.

7) L’età dell’adolescenza: le crisi sono normali e aiutano a crescere
“Ogni fase dello sviluppo presenta le sue difficoltà, ma contenere le furie e le passioni di un adolescente richiede una forza e una calma che supera largamente quelle necessarie all’inizio del processo evolutivo”. Come in tutte le altre fasi anche in questa, il genitore deve mettersi nella mente del ragazzo. Capire che è una fase molto difficile. A questa età i ragazzi sono divisi: da una parte c’è la voglia di indipendenza, ma dall’altra la tristezza di perdere l’intimità con la madre.  “Paradossalmente” dice l’esperta “più un adolescente è impegnato a respingervi con aggressività, più ha bisogno della vostra presenza”. Queste riflessioni devono aiutare il genitore a entrare in empatia con il figlio e cercare che ad ogni rottura segua una riappacificazione. E’ però importante porre dei limiti se il comportamento e il linguaggio del ragazzo  diventano troppo offensivi. Precisare che certi atteggiamenti non sono accettabili e potrebbero avere delle conseguenze.

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